#21. Speciale Natale in Grecia
Da Natale all'Epifania, ti racconto le tradizioni greche delle feste
Non avevo previsto di scrivere un’edizione speciale natalizia, almeno finché la nostalgia non ha cominciato a mordermi il cuore. L’anno scorso ero a Salonicco mentre addobbavano la piazza sul mare e non faccio che ripensarci. Perciò ho deciso di dedicare questa puntata alle tradizioni greche. Sarà più lunga del solito ma hai tempo per spizzicartela, la prossima arriva il 9 gennaio. Kαλές γιορτές!
To karavaki, la barca di Natale
Karavaki significa barchetta ma tanto -etta non è. Una delle principali tradizioni natalizie greche consiste nell’addobbare una barca anziché un albero di Natale. Caduta progressivamente in disuso tra metà ‘800 e inizio ‘900, ha resistito sulle isole dove di fatto è nata. Negli ultimi 70 anni è stata recuperata e le grandi città come Atene e Salonicco ne issano una sulla piazza principale. Fatta di luci.
A soppiantare la barca fu l’albero di Natale, che oggi spesso si trova al suo fianco. A portare il primo in Grecia fu re Ottone che ne decorò uno nel suo palazzo di Nafplio nel 1833. Entro pochi decenni ogni casa greca aveva il suo albero.
La barca ha perdurato sulle isole dov’è ancora un’usanza fortissima legata alla natura dei luoghi fondati su un’economia del mare, almeno prima del turismo di massa. Ogni famiglia aveva qualcuno lontano da casa, in balia di onde e fato. La barca simboleggiava il legame atavico col mare sia perché dava da vivere sia perché strappava via da casa. Sin dall’antichità adornare una barchetta era di buon auspicio per il ritorno dei propri cari. Si sistemava con la prua rivolta verso l’interno della casa, mai l’esterno, vicino la porta o in cucina, cioè l’accesso alla casa e il focolare.
Nei giorni di Natale i bambini ne costruivano una con legno, stracci e cartone da portare in giro cantando i kalanta che ti racconto più sotto. La varkoula (variante di karavaki) è legata a San Nicola, protettore dei marinai. Si festeggia il 6 dicembre che in Grecia è anche il giorno in cui si addobba.
L’usanza di addobbare le barche fu lasciata indietro perché ricordava alle persone una vita amara. Non era manifestazione di gioia ma apprensione per chi era in mare e forse non sarebbe più tornato.
Se ti è capitato di essere in Grecia nel periodo natalizio avrai notato le barche sulle piazze ma se ne trovano, più piccole e sempre illuminate, anche nelle taverne e in tutte le case private. Spesso le luci sono bianche e azzurre come la bandiera greca.
Ta kalanta, i canti natalizi
I kalanta (κάλαντα) sono canti tradizionali natalizi che i bambini andavano cantando di casa in casa nel periodo delle feste. Con sé portavano il trigono (triangolo), a volte un flauto, il daouli (un tamburo diffuso con vari nomi in Europa centrale, balcanica, orientale e oltre), la tsambouna (zampogna) o la fisarmonica. Ci sono canti per ogni occasione - Natale, Capodanno, Epifania - e quelli specifici di una regione. Vuoi sentirne qualcuno? Qui c’è una mappa con i kalanta di ogni angolo della Grecia.
La mattina della vigilia o subito dopo il tramonto i bambini si riunivano per visitare le case del villaggio o del quartiere. In alcune zone della Grecia rurale e sulle isole succede ancora. Dopo aver bussato chiedevano Na ta poume (cioè Li diciamo?) e solo dopo la risposta affermativa di chi apriva la porta iniziavano a cantare. Uno dei bambini portava una barchetta come contenitore per le offerte. In alternativa si portava un cestino o un rametto di ulivo o alloro con fili di lana rossa e bianca a cui appendere i doni. Al ramo di ulivo torniamo tra poco.
Se non ricevevano abbastanza offerte potevano iniziare un nuovo canto, stavolta ingiurioso, per convincere i padroni di casa a essere più generosi. In pratica auguravano il contrario rispetto a prima: non gioia e prosperità ma sciagura e pidocchi.
Le radici dei kalanta affondano in epoca bizantina, perciò la maggior parte dei testi tradizionali è in katharevousa, la lingua “pura” con stretti legami col greco antico, diversa dalla dimotikì parlata oggi nel quotidiano. Il nome deriva dalla parola calende e quelle di gennaio erano celebrate con particolare magnificenza.
I motivi ricorrenti sono la nascita di Gesù, l’arrivo di San Basilio (ne parliamo sotto), desiderio di pace, gioia e benessere, speranza di buona salute, abbondanza. Questi ultimi sono temi presenti anche in canti greci ben più antichi di matrice pagana. Un antecedente dei kalanta si fa risalire addirittura ai tempi di Omero. Si tratta dell’Iresione (Ειρεσιώνη), un canto associato a un rito e per estensione anche il ramoscello di ulivo a cui si appendevano le offerte (non ricorda un proto-albero di Natale?) A volte si vede ancora in Grecia un ramo d’ulivo addobbato con fili rossi e frutta secca e fresca.
Il rito avveniva al fine autunno e a inizio primavera. Il ramoscello si portava di casa in casa raccogliendo doni che celebravano il raccolto dell’anno o propiziavano la fertilità del seguente. Con piccole variazioni, appartiene alla tradizione contadina di tutta Europa. Alcuni versi del canto più antico attribuito a Omero recitano:
Siamo venuti dal ricco padrone di casa
per aprire le sue porte e far entrare la ricchezza
per portare ricchezza e gioia e l’agognata pace.
La stessa cosa, con parole quasi identiche, dicono molti kalanta.
Gouria e altre tradizioni
I Gouria - τα γούρια
Gouri significa amuleto, una tradizione antichissima e comune a molte culture mediterranee. In Grecia si usa regalarne uno sotto le feste come buon augurio per il nuovo anno (ma si regala anche in occasioni come l'acquisto di una casa o di un'auto). Sono ciondoli di varia dimensione, da indossare o appendere in casa, con simboli come il melograno, la chiave, la casa, il ferro di cavallo, la barca, la moneta, l'albero della vita, una campanella, l'uva o conchiglie. Il mio ne riunisce alcuni tutti insieme: è un melograno rosso con un ramo d’ulivo dipinto sopra, appeso a un filo rosso e con una perlina azzurra a simboleggiare il mati (l’occhio portafortuna).
La corona di aglio - το χριστουγεννιάτικο στεφάνι από σκόρδα
Nei villaggi è usanza appendere fuori dalla porta una treccia di aglio a cui a volte si aggiungono fiori e chiodi di garofano confitti a indicare alle malelingue che la fortuna è inchiodata a quella casa. Sul valore apotropaico dell’aglio non serve aggiungere altro.
Il melograno spaccato - το σπάσιμο του ροδιού
A Capodanno si usa spaccare con forza un melograno sul pavimento - con buona pace di chi deve pulire dopo. Ci si assicura così prosperità e fortuna con l’augurio che quanti sono i chicchi di melograno, tanti saranno i denari nelle tasche degli abitanti.
Nutrire la fonte - το τάισμα της βρύσης
A mezzanotte o all’alba di Natale o Capodanno, secondo la zona, le ragazze della Tessaglia si recavano in completo silenzio alla sorgente d’acqua più vicina. Dopo aver spalmato la fontana con burro e miele prelevavano l’acqua come auspicio per una vita futura piena di dolcezze, che scorresse come l’acqua sgorga dalla fonte. Tornavano a casa senza dire una parola perciò l’acqua che portavano si chiamava “acqua silente”.
Il primo passo - το ποδαρικό
Quando inizia il nuovo anno si bada che la prima persona a entrare in casa sia pura e buona, dunque è quasi sempre un bambino. Farà il primo passo oltre la soglia con il piede destro. Secondo le zone ci sono varianti, come calpestare un pezzo di ferro o una pietra perché la casa e chi la abita restino solidi tutto l’anno.
Christoxylo - Χριστόξυλο
In Macedonia il padrone di casa sceglieva il ramo d’ulivo o pino più grosso da accendere nel camino per 12 giorni, da Natale all’Epifania. Rappresentava il fuoco che scaldò Gesù nella grotta ma le radici pagane del rito vanno più indietro: con il fuoco si scacciavano gli spiriti maligni. Le ceneri del ceppo venivano conservate e sparse nei campi per favorire il raccolto.
Nozze del fuoco - πάντρεμα της φωτιάς
Un’usanza simile alla precedente prevedeva che alla vigilia di Natale si gettassero nel fuoco un ciocco di albero con nome maschile e uno di albero con nome femminile (in greco esiste questa differenza). I due pezzi di legno, in genere disposti a croce, dovevano bruciare tutta la notte.
Agrifoglio acceso - αναμμένο πουρνάρι
Nel nord della Grecia, specie in Epiro, si esce in strada con rami di agrifoglio che bruciano per illuminare la notte. Un’usanza simile prevedeva di portare con sé foglie e rametti di alloro o agrifoglio da gettare appena entrati nel camino della casa che si visitava.
Momogeroi e Babusiarei, il risveglio della terra
I Momogeroi (Mωμόγεροι) appartengono alla tradizione macedone e sono legati ai rifugiati del Ponto stabilitisi nella Grecia del nord e nel sud della Bulgaria, dov’è presente il medesimo rito. Le radici sono precristiane ma sono state assorbite dalla tradizione cristiana. Oggi appare in questa forma in Macedonia e con varianti simili a Creta e Skyros, ma nel periodo di Carnevale.
Il dio Momos era la personificazione della satira e si associava alle celebrazioni in onore di Dioniso. Con maschere e travestimenti si danzava e cantava al seguito del dio satirizzando su chiunque e qualunque cosa. A Momos si fa risalire l’etimologia dei Momogeroi che ancora oggi girano per villaggi e città da metà dicembre a metà gennaio.
Vestono pelli di animale e portano addosso campanacci o frutti e erbe, il che avvicina la rappresentazione agli antichi riti di fertilità della terra. In alternativa indossano divise da soldato che raffigurano i mesi dell’anno. Al corteo prende parte una sposa che rappresenta la terra, contesa da un giovane e un vecchio che simboleggiano il tempo nuovo e il tempo vecchio. Il contenuto delle rappresentazioni è sempre comico e talvolta ferocemente satirico su temi sociali attuali. Finisce invariabilmente in una gran caciara di balli in cerchio.
Un rito meno appariscente ma non troppo dissimile esiste in Tracia dove il secondo giorno delle feste natalizie due uomini si travestono da Babusiario e consorte. Si chiamano Babusiarei (Μπαμπουσιαραίοι). Lui indossa una maschera ricavata da una zucca, pelli di pecora e campane alla cintura. Danzano accompagnati da zampogne e tamburi pestando forte i piedi al ritmo travolgente dai tamburi per risvegliare la terra dal lungo sonno e riportare la vita. Di casa in casa vengono loro offerti vino, pane, noci.
I dolci di Natale in Grecia
Non c’è casa greca, in Grecia o fuori di Grecia, in cui manchino kourampiedes e melomakarona nel periodo delle feste natalizie. Per i greci sono ciò che per noi sono pandoro e panettone: immancabili e onnipresenti. Entrambi, perché quando si tratta di scegliere in Grecia si opta spesso per la terza via: και τα δύο! Tutti e due! Ma i dolci di Natale in Grecia non sono certo solo due.
Melomakarona - μελομακάρονα
La parola è di origine bizantina, makaronìa si riferiva a un pranzo funebre consumato dai partecipanti a una cerimonia durante la quale si mangiava makaria, una sorta di piccolo pane offerto per l’occasione. Con il tempo quel particolare impasto ha iniziato a essere tuffato nel miele. Sono biscotti morbidi a base di farina, zucchero, olio d’oliva, succo e scorza d’arancia, cannella e chiodi di garofano. Si decorano con noci tritate o altra frutta secca.
Kourampiedes - κουραμπιέδες
Di questi biscotti si dice che siano a base di mandorla ma è una bugia. Le mandorle ci sono ma c’è soprattutto il burro. Una montagna di burro. Tondi o a mezzaluna, si annegano nello zucchero a velo. Più ce n’è e meglio è. Pazienza se ti ritrovi zucchero anche dove non pensavi possibile. Per non parlare di quello che spargi nel tragitto tavola-bocca. Se poi mentre li mangi parli o ridi aspergi anche tutti gli astanti. I kourampiedes sono di origine turca e ancora prima persiana. L’etimologia parla chiaro: la parola persiana è ghurayba, quella turca kurabiya, quella greca kourampiè, che al plurale fa kourampiedes.
Diples - δίπλες
Originario del Peloponneso, questo dolce non compare in tutte le case greche, dipende dalle origini della famiglia e dalle visite degli amici. Né è esclusivamente natalizio, si prepara per varie celebrazioni, ma spesso si trova in tavola anche a Natale. Le diples sono sottilissime sfoglie di pasta all’uovo fritta, poi sciroppata (ti stupisce? non credo) e condita con noci e abbondante cannella. Di solito sono di forma allungata ma le ho viste anche a ventaglio e a farfalla. A Kalamata sono a forma di rosa e ricordano le cartellate pugliesi.
Christopsomo - Χριστόψωμο
Il pane di Natale (letteralmente pane di Cristo) ha consistenza simile a una brioche, si prepara 2-3 giorni prima delle feste e si consuma nei 12 giorni tra Natale e Epifania. Tradizionalmente si donava anche ai cantori di kalanta. Può essere semplice, con una croce e una noce al centro, o molto decorato. Le decorazioni si chiamano plumidia e sono simboli come la casa, l’aratro, foglie di ulivo o vite. Possono esserci persino i membri della famiglia in miniatura.
Vasilopita - βασιλόπιτα
Questa torta dall’impasto soffice esiste in molte varianti ma deve essere tonda e includere tra gli ingredienti noci, succo e scorza d’arancia, cannella. E una moneta. Chi la trova avrà la fortuna dalla sua per tutto l’anno. Può essere una moneta qualunque, ben pulita e inserita nell’impasto prima di infornare. Ma in Grecia si vendono e regalano anche monete apposite che riportano la scritta Καλή Χρονιά, Buon anno. La vasilopita si prepara in tutta la Grecia per il giorno di San Basilio, il Babbo Natale greco che porta i doni nella notte di Capodanno. Αϊ-Βασίλης porta un mantello verde anziché rosso.
San Basilio fu vescovo di Cesarea nel 300 d.C. e narra la leggenda che… in realtà ci sono tre versioni della leggenda. La prima dice che il vescovo avesse l’abitudine di donare ai cittadini poveri pani con dentro una moneta d’oro. Per la seconda versione le monete erano state raccolte per una tassa imperiale che il vescovo riuscì a far eliminare. Secondo la terza i denari erano il riscatto dovuto ai nemici perché desistessero dall’assedio della città, che poi non avvenne. Dovendo restituire i beni ai cittadini, ma non sapendo chi aveva donato cosa, San Basilio si affidò al caso infilando le monete in torte da distribuire nelle case.
La vasilopita si taglia alla scoccare della mezzanotte fra 31 dicembre e 1 gennaio. Le prime fette si riservano a Gesù, Madonna e san Basilio, la quarta è per la casa, le altre vengono distribuite alle persone presenti dalla più anziana alla più giovane. Poi si passa alle persone assenti, per le quali la fetta viene conservata. Per chi non ama i dolci esiste la versione salata che si prepara specialmente in Tessaglia usando il trachanas, un preparato fermentato a base di farina di grano e latte o yogurt.
I kalikantzari e i loro dispetti
I kalikantzari (καλικάντζαροι) sono piccoli folletti maligni che appartengono al folklore greco e cipriota ma si trovano anche in Serbia, Bosnia, Bulgaria, Albania e Anatolia. Diverse le teorie sull’origine del nome ma le più accreditate sono due: dal greco antico, come unione delle due parole “bel centauro”; dal turco, unendo termini che significano “nero” e “lupo mannaro”. Sbucano fuori dalla terra tra la vigilia di Natale e l’Epifania, quando la benedizione delle acque li ricaccia sottoterra per il resto dell’anno.
Giungono via acqua, in barca o a bordo di gusci di noci, oppure emergono dai pozzi e sostano presso fiumi, ponti, mulini, crocicchi. Girano di notte e svaniscono al terzo canto del gallo. Infliggono agli esseri umani ogni sorta di angheria. È loro permesso salire in superficie solo durante le 12 notti di Natale perciò in quel periodo non è consigliabile uscire soli. Se ne incontri uno non rivolgergli la parola. Se sei in compagnia basta dire a voce alta “legna, tronchi, torce accese!” per metterlo in fuga.
E il resto dell’anno cosa fanno? Rosicchiano e segano le radici del grande albero della vita che sostiene il mondo, allo scopo di farlo crollare. Ma quando viene Natale sono fatalmente attratti in superficie e al ritorno sottoterra si accorgono che l’albero si è rigenerato e devono ricominciare tutto da capo. Secondo i luoghi possono avere nomi diversi (verveludes, kalokyrades, tzogies, skantzaria) ma sono sempre esserini malefici da tenere lontano. Dimensioni e descrizione fisica differiscono di zona in zona ma si è tutti concordi nel considerarli ricoperti di pelo, metà antropomorfi e metà zoomorfi, con lunghi artigli e occhi rossi.
La loro occupazione preferita è fare dispetti. Creano il caos, distruggono i mobili, mettono in disordine i cassetti, fanno pipì nelle pentole, mandano a male il latte, insozzano il cibo conservato e calpestano ogni cosa. Se ti incontrano per la via ti fanno perdere la strada o ballare finché non ti sfinisci, ti cavalcano o ti tirano i capelli. Possono arrampicarsi sugli alberi, saltare sui tetti e produrre un rumore infernale rovesciando tutte le regole.
Ci sono vari trucchi per tenerli alla larga. Il più importante è tenere sempre acceso il fuoco (il christoxylo visto sopra). Temono il fuoco ma anche la croce, che si segna col carbone su porte e finestre, bottiglie di olio e vino, sul camino e davanti alle stalle. Funzionano anche le cipolle, bruciare erbe profumate o appendere un setaccio fuori dalla porta. I kalikantzari sono costretti a contarne i buchi prima di entrare ma non ne sono capaci, si confondono e devono ricominciare. Intanto arriva l’alba che li costringe a svanire.
Alcuni kalikatnzari hanno nomi e caratteristiche specifiche. Come Mantrakoukos, loro capo e il più cattivo. Oppure Malaganas che inganna i bambini per rubar loro i dolci. Triklopodis ha braccia di polpo che fanno inciampare le persone e disfano i lavori a maglia. Malaperda si diletta a urinare sul cibo perciò bisogna sempre ricordarsi di mettere il coperchio alle pentole. Paroritis, dal naso a proboscide, è in grado di rubare la voce alle persone e farti credere che un tuo caro ti stia chiamando.
Secondo la leggenda i nati di sabato erano in grado di vedere e comunicare con i kalikatnzari mentre chi nasceva nei 12 giorni di Natale aveva alte probabilità di diventare un kalikantzaro a sua volta perciò si eseguivano riti per evitarlo, come legare al bebè trecce d’aglio o passargli una candela sotto i piedi per bruciare gli artigli prima che si manifestassero.
Teofania, il tuffo e la croce
Noi la chiamiamo Epifania (Επιφάνια) ma è un altro modo di dire la stessa cosa: letteralmente è la manifestazione della divinità che avviene nella ricorrenza del battesimo di Cristo. In Grecia si chiama anche Festa delle Luci (Εορτή των Φώτων) o più brevemente Luci (Φώτα). La festività affonda le radici nel II secolo e già nel IV è usanza consolidata. Le celebrazioni iniziano alla vigilia con i kalanta dedicati ma la vera festa avviene il mattino dopo.
Dopo la cerimonia religiosa in chiesa, preti e autorità civili si recano al più vicino specchio d’acqua - il porto, la riva del mare, di un fiume o di un lago o, in loro assenza, un pozzo, una piscina, un serbatoio. Dove non ci sia niente di tutto questo si usa una grossa vasca. Lì si procede alla Grande Benedizione delle Acque (Μέγας Αγιασμός). Dunque tocca all’Immersione della Santa Croce (Κατάδοση του Τιμίου Σταύρου) che si lancia in acqua mentre audaci nuotatori si tuffano per recuperarla. La Presa della Croce (Πιάσιμο του Σταύρου) si considera un grande onore (qui un video). Chi la recupera la bacia e la leva verso l’alto, poi riceve la benedizione del prete e gira per le case raccogliendo doni.
Gli antichi ateniesi celebravano un rito simile durante il quale la statua della dea Atena veniva condotta in processione sulla costa e lavata con acqua di mare per rinnovarne i poteri sacri. In molte zone della Grecia tuttora si crede che lavare le icone sacre con un batuffolo di acqua appena benedetta ne rinnovi il potere che perdono con il tempo e… l’uso.
La festa si conclude con la Piccola Benedizione (Μικρός Αγιασμός), quando i preti girano per le case aspergendo acqua benedetta con un ramo di basilico e con questo gesto - che si chiama πρωτάγιαση (benedizione) ο φώτιση (illuminazione) - costringono a precipitosa fuga… proprio loro, i kalikantzari.
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M'è piaciuta proprio un sacco la storia dei kalikantzari!