#23. Illuminazione a Torino (non quella pubblica)
Da questa puntata, un'uscita sì e una no, c'è anche un ospite che racconta un suo luogo
Ho cominciato a frequentare Torino per il Salone del Libro, non saltavo un anno. Nel 2013, alla vigilia di un esame di certificazione di lingua greca, rimasi bloccata in aeroporto. Il volo doveva atterrare a Catania alle 20.20 ma alle 23 ero ancora a Caselle. Un guasto.
Rischiavo di perdere la sessione, dover aspettare l’anno seguente, e mi disperavo. Avevo studiato sodo, seguito un corso intensivo, non potevo credere di buttare tutto al vento per non aver voluto rinunciare a nulla, né a partire né all’esame.
Il volo infine partì a mezzanotte, arrivai tardissimo, mi ospitò un’amica in centro per risparmiarmi la doppia trasferta Catania-casa nella notte e casa-Catania poche ore dopo. L’esame era per le 8, mi presentai e andò bene.
Un luogo reale: Torino e l’impermanenza
Durante la prova scritta continuavo a pensare non al disastro scampato ma a un angolino della città. Mi succede spesso con i posti nei quali mi riconosco. Li lascio a fatica e per giorni ci torno con la mente. Anche quando la mente dovrebbe stare ben salda altrove.
A Torino, per la natura stessa del viaggio legato al Salone, si sta sempre in mezzo a tante persone. Ma io mi riservo sempre un giorno, prima o dopo, per restare da sola e percorrere la città al mio passo. Durante una di queste giornate solitarie - pioveva a catinelle, non aveva smesso per tutti i 4 giorni di soggiorno - mi ficcai al Parco Valentino. Con un ombrellino più decorativo che efficace, le ballerine scamosciate blu Klein ormai zuppe diventate blu Navy e i collant puntinati dal fango che schizzava dalla strada. Quella sera sarei partita (col rischio di non farcela, ma ancora non lo sapevo) e non volevo sprecare un solo secondo.
Il mio posto di Torino è disagevole, perché la bellezza a volte arriva in una veste poco pratica. Ricordo ancora quel luogo e quell’istante come se fossi lì, umidiccia e infreddolita ma rapita. In piedi, sulla sponda del fiume che scorreva placido mentre la pioggia lo impastava mutandogli forma e colore in ogni momento. Non mi ero mossa, ma ogni secondo ero in un posto differente dall’istante prima. Mi sono vista identica al fiume, in costante trasformazione. Anziché agitarmi, mi ha dato pace.
C’era già stato Eraclito, certo, incontrato al liceo col suo perenne divenire, ma la sua era stata una lezione come un’altra. Da adolescente non mi serviva crederci, non mi riguardava, mi percepivo eterna. Sarebbero venuti dopo lo yoga e molte cose della vita a insegnarmi l’impermanenza, anche in modo amaro. Ma quel posto, in quel momento, è stato il primo a insegnarmelo con fulgore.
Un luogo immaginario: la corrente
Oggi questa sezione è diversa dal solito perché ho parlato di fiumi nel primo numero di questa newsletter e mi piace l’idea di riproporre quelle storie, qui, ora.
Un luogo di Serena Blasi: Roma-Torino andata e ritorno
scrive la newsletter-memoir e mi ha affidato un frammento della sua memoria. Questo è il luogo che ha scelto di raccontarci.
Le storie delle famiglie si muovono nel mondo in modo tentacolare, certi luoghi calano negli abissi per poi risalire in superficie dopo generazioni.
In un freddo marzo del 1983 i miei genitori andarono a Torino per lavoro e pernottarono vicino alla stazione di Porta Nuova, presso l'Hotel Genio. Sono grata a mio padre e a mia madre per essere amanti dei racconti, ciascuno con le proprie particolarità, perché io non riesco ad immaginarli giovani.
In quei vestiti, in quei gesti, li immaginavo già vecchi, familiari e dispettosi l'uno con l'altra, quali sono adesso. Com'è difficile vedere le persone che ci circondano diverse dalle figure che, nei nostri confronti, sono costrette a rappresentare.
(Quaderno proibito, Alba de Céspedes)
Mia madre, una ragazza con gli occhiali e grandi occhi castani, tornando con mio padre verso Roma, ebbe un satori – che in giapponese significa illuminazione improvvisa – sentì che quella città fredda ed elegante sarebbe tornata nella sua vita.
Nove mesi dopo nacqui io. Mia madre non pensò più a Torino finché – venticinque anni dopo – io decisi di trasferirmi lì per frequentare una scuola di scrittura. Mia madre la prese nel modo sereno che la contraddistingue, ricordo ancora il suo singhiozzare ritmico quando la salutai chiudendo la porta del mio monolocale torinese in Corso Massimo.
Il primo ricordo felice che ho di Torino è una neve fitta e luccicante all'uscita dal cinema Ambrosio durante il Torino Film Festival, in questa città ho vissuto tante vite e forse è per questo che ho lasciato passare quattordici anni prima del mio ritorno a Roma. David Foster Wallace ha scritto ogni storia d'amore è una storia di fantasmi e io penso che questa frase valga anche per i luoghi della nostra vita, pieni di nascite, morti, presentimenti.
La libertà ha sempre un prezzo; mentre io cercavo me stessa a seicento chilometri di distanza da casa, i miei nonni materni cominciavano a morire. Durante un'alba ghiacciata di dieci anni fa, presi il telefono e trovai un messaggio di mio padre: caro Daniele cara Serena, la nonna è in paradiso. Non piansi, prenotai un treno e tornai a casa. Scoppiai in lacrime solo dopo il discorso che feci in chiesa per ricordarla.
A Torino il tempo è scivolato via, come quella prima neve, con la delicatezza e l'urgenza degli anni giovani. Finché due anni fa, durante le vacanze di Natale a casa dei miei genitori, mi sono ritrovata ad osservare una porta che non voleva saperne di starsene accostata, si riapriva ogni volta. Un paio di mesi dopo ho scritto un messaggio ai miei genitori dando la notizia del mio ritorno. Nella mia famiglia lo facciamo spesso, le gioie e i dolori li affrontiamo scrivendoci. Questo ritorno a Roma, insieme ai miei torinesi del cuore (marito, bambina, bambino), è stato il più grande esercizio di felicità che io abbia mai messo in atto. Scovare un desiderio non è cosa banale, soprattutto quando gli anni prendono un ritmo diverso.
Sono convinta che nuove generazioni verranno a sedurre, con i loro tentacoli, queste città così diverse che mi hanno dato la vita due volte e dove io stessa ho dato la vita.
Un itinerario tra i libri: per le vie di Torino
Sono stata per la prima volta a Torino con un libro grazie a Natalia Ginzburg e al suo Lessico famigliare. Me lo aveva suggerito la bibliotecaria di paese. Avevo 13 anni, leggevo tutto quello che mi capitava a tiro in biblioteca e stavo per incontrare una delle scrittrici-della-vita. Ci sono tornata altre volte, con altri libri, ma quello fu il primo ed è ancora con me perché a un certo punto ho acquistato una copia mia. L’ho riletto nel tempo, addirittura ne ricordo ampi stralci a memoria.
La prima volta che ci ho messo piede per davvero invece portai con me Tra donne sole di Cesare Pavese. Un’altra volta La giornata d’uno scrutatore di Italo Calvino. E Piccolo inferno torinese di Guido Ceronetti. Poi fu Torino è casa nostra di Giuseppe Culicchia a venire con me in valigia. L’ultima volta che ci sono stata. Sono passati troppi anni.
Ogni viaggio, un libro. L’esperienza di certi luoghi, specialmente quando è reiterata nel tempo, è sempre legata a una teoria di libri che ho letto su quel posto e in quel posto. Il mio preferito - Natalia Ginzburg esclusa, lei è fuori gara - è Torino magica di Vittorio Del Tufo che racconta le storie nascoste della città.
Gita in Grecia: φωτισμός
Visto che oggi si parla di illuminazioni ho pensato di esplorare la parola greca che dice la stessa cosa. Come in italiano, l’intero campo semantico gira intorno alla parola luce, φως. Illuminazione si dice φωτισμός ma anche διαφώτιση, premettendo il prefisso δια- che indica un movimento, un attraversamento. Indica un processo ma anche il risultato dell’illuminazione. Con la maiuscola Διαφώτιση è l’Illuminismo.
Luci al plurale si dice φώτα e mi viene in mente un’espressione gergale, αλλάζω τα φώτα, che letteralmente significa cambiare le luci (a qualcuno) ma ha il significato di dare il tormento. Può significare anche portare distruzione e tumulto (non a qualcuno in particolare) e, più in generale, fare qualcosa all’eccesso.
Mi è sempre piaciuto che alla stessa radice sia connesso il concetto di fuoco, che in greco è φωτιά (femminile, per giunta). Si riferisce alla fiamma quanto all’incendio, si usa la medesima parola per ambedue i concetti.
Ultime dal sito
Filakia è a riposo per un breve periodo. Per la natura del progetto, completamente autoprodotto, ho bisogno di prendermi una pausa tra un ciclo di puntate e l’altro per avere tempo di fare ricerche sulle storie, scriverle, registrarle, editarle. Tornerà presto con 5 nuove puntate, di cui la prima è già scritta (spoiler: ci si mangia).
Su IoViaggioinPoltrona.it:
ho aggiunto Rumelia di Patrick Leigh Fermor alla mappa
e pure Una passeggiata nei boschi di Bill Bryson
ho raccontato 5 nuovi podcast nei Viaggi sonori
e una riflessione sul viaggio come avventura
Mi prendo sempre il tempo giusto per stare con calma dentro "Io viaggio in poltrona": che bella anche questa versione con l'ospite, e che toccanti le parole di Serena Blasi.
Poi sono andato in visibilio con il luminoso viaggio etimologico che hai raccontato. Grazie.
Che bella Torino raccontata con gli occhi di chi l'ha scelta, anche temporaneamente. Non ho mai pensato all'impatto del Salone del Libro nella conoscenza di Torino. Bello scoprirlo, grazie!