#31. Un posto che non si vede
Questa newsletter contiene odore di pini e molti ricordi (e un ospite)
Sin da quando questa newsletter ha iniziato a esistere, esiste anche un quaderno dedicato su cui segno i luoghi che prima o poi vorrei raccontare qui. A volte sono grosse porzioni di mondo, altre volte minuscoli borghi, grandi città o isolette sperdute. Nonostante la lista, ho sempre lasciato spazio all’improvvisazione, specialmente quando ho chiesto ad altre persone di raccontarmi un loro luogo. Poteva essere luogo geografico ma non necessariamente. E quindi eccoci qui, con una puntata che profuma di pini e di ricordi e di luoghi che a volte non si vedono ma sono dappertutto.
Un posto che non si vede
secondo me lo conosci già perché scrive Linguetta ma fa anche tante cose belle con i libri e le storie. È l’ospite di questo numero. L’arcipelago delle isoleombra è il suo ultimo libro. Oggi ci fa un regalo doppio: non solo racconta un suo luogo speciale ma lo fa pure con la sua voce. Clicca qui sotto per ascoltarlo. Oppure puoi leggere il testo che segue.
Un giorno, dopo una corsa in montagna sono entrato, senza farmi vedere dai miei nipoti, a casa di mio fratello, ed ecco che cos’è successo quando gli sono comparso all’improvviso davanti:
| Nipoti: Zio Andreaaa!
| Io: Ciaooo!
| Nipoti: Ma dov’eri? Da dove sei venuto?
| Io: Come dov’ero, nella doccia! Lo sapete no che a volte la uso per teletrasportarmi.
| Nipoti: Ah già! Come quando l’hai usata per andare in Sicilia?
| Io: Esatto! Infatti vedete che ho ancora i capelli bagnati.
A giocare con le cose può succedere l’inimmaginabile, che ci sposta. A volte la cosa è una doccia, a volte una cabina blu del telefono, una navicella, un luogo parigino a mezzanotte, un retrobottega, una grotta, un vicolo, una botola. O una DeLorean.
La mia cosa preferita per spostarmi però è fatta di molecole di alfa-pinene che senza preavviso mi salgono nel naso, dilatano il respiro e mi fanno scomparire da un sentiero.
Succede ogni volta, ogni volta che attorno a me ci sono dei pini: succede che torno indietro nel tempo. E quando ci cammino, dentro la freschezza dei pini, io non sono più lì.
Ho cinque anni, la mano della mamma mi fa da conchiglia nella pineta di Lodrino, mentre papà tiene in braccio mio fratello Marco.
Ho dieci anni e il nonno Rino, appoggiato al suo bastone, cammina insieme a me, Marco e Laura in mezzo al bosco.
Ho dodici anni e osservo lo zio Cono lavorare il legno dentro la sua officina a Capo d’Orlando.
Ho quattordici anni e gioco a nascondino nella pineta di Cervia, con il sorriso nel cuore mentre il mio sguardo inciampa in un altro sguardo.
Ho diciotto anni e cammino in Val Camonica con una colonna di compagnə e animatori, mentre ci inventiamo futuri e ridiamo, ridiamo di ogni cosa.
Ho anni e anni e anni che stanno dentro agli aghi di pino, che siano aghi verdi che gocciolano rugiade dai rami o bastoncini di Shanghai marroni sul sentiero.
Ci giocavo sempre col nonno Rino, a Shanghai.
Me li aveva regalati la nonna Iole, che li vendeva nel suo negozio di giocattoli, che tutti le dicevano che a entrarci, nel suo negozio, sembrava di entrare in un bazar.
E a me, da bambino, la parola bazar mi è sempre piaciuta, mi sembrava che contenesse odori che venivano da lontano, da posti che non conoscevo e che forse avrei visitato, un giorno.
Sentivo i grandi che dicevano che il bazar era un posto orientale, e allora pensavo che era un po’ come Shanghai, che lo sapevo che era una città della Cina ma anche quel gioco di legnetti che facevo col nonno.
Di legno, come quello dei pini, con il loro profumo intenso, balsamico.
Dicono che l’olfatto è il primo senso che sviluppiamo, quando siamo nel grande buio che precede la luce immensa. Al riparo da tutto, al principio di quello che saremo, che diventeremo, che ricorderemo.
Il naso è come le orecchie: sempre aperto, eppure dobbiamo annusare e inspirare per sentire davvero. E in quel preciso momento ci spostiamo da lì, perché è come se conservassimo dentro di noi mille luoghi e mille tempi.
L’odore degli aghi di pino è la mia macchina spaziotempo: ci viaggio ogni volta che lo sento.
Anche dentro la doccia, con l’odore del bagnoschiuma al pino mugo. E anche se una volta ci ho provato a chiudere gli occhi e teletrasportarmi, da dentro la doccia fino in Sicilia, non è mica successo. Però giocare all’impossibile conserva il destino, che è sempre desti-nazione, cioè un paese di risvegli continui, scoprendo quella verità che sta in alcuni versi di Franco Battiato:
Bisogna pur che il corpo esulti
Ma c’è voluto del talento
Per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti
Io ci provo, dentro l’odore degli aghi di pino.
La mia pineta
Anche io ho una pineta tra i ricordi d’infanzia. La pineta Ragabo. Il luogo esiste per davvero ma nel tempo ha assunto una sfumatura mitica, come spesso accade ai luoghi che frequentavamo da piccoli e che la memoria finisce per trasfigurare.
La mia pineta si trova poco sotto Piano Provenzana, intorno a quota 1400, sul versante nord dell’Etna. La mia non è una pineta di mare, come quelle che hanno costellato e costellano le mie estati greche. Qui l’aroma dei pini si mescola al vento pungente dell’altitudine che fischia tra i rami e al rombo del vulcano che riempie l’aria e sento anche sotto i piedi.
Nella mia pineta non si va in costume e telo mare ma con le scarpe chiuse e una felpa, pure d’estate. Quando da bambina sentivo “domani andiamo in pineta” mi si schiudeva davanti la possibilità dell’avventura. Quando sento nominare una pineta, o sento odore di pini, è ancora lì che corre la mia mente.
Per raggiungerla bisogna passare da Linguaglossa, un bel paese dalla lunga storia. È citato per la prima volta da re Ruggero nel 1145. Ma io te lo cito per via del suo nome curioso. Secondo l’opinione più diffusa sarebbe una tautologia, come dire Lingualingua, dall’unione dei termini lingua in latino + glossa in greco che significano la stessa cosa. Farebbe riferimento alle lingue di lava spesso giunte in prossimità del paese.
Ci sono altre teorie. Alcune molto fantasiose, come quella legata a un leggendario personaggio locale noto come ‘zu Linguarossa (zio Linguagrossa). Altre storicamente più accreditate come quella legata alla fondazione del paese da parte dei Longobardi, la cui lingua era considerata più astrusa del dialetto locale. Anche il bosco Ragabo ha un nome tautologico. Ragabo deriva dall’arabo rahab, che significa bosco. Quindi dire bosco Ragabo è come dire bosco Bosco.
Bastano 20 minuti lungo la via Mareneve per raggiungere la mia pineta da Linguaglossa. Qui da bambina venivo con i miei genitori e gli zii a fare un picnic e qui sono tornata ogni estate da adolescente e oltre per Pasquetta o l’1 Maggio con gli amici. Spesso si tornava anche d’inverno per giocare sulla neve senza dover pagare gli impianti. Gli impianti tra l’altro sono stati ripetutamente spazzati via dalle colate laviche che si sono susseguite nel tempo, non era mica detto che quell’anno lì l’impianto ci fosse, pure ad avere i soldi.
Questo bosco tuttavia ha una storia ben più lunga della mia. Da qui, per secoli, si sono ricavati gli alberi delle navi varate lungo la costa orientale della Sicilia. Se ne servivano già i greci. Fino agli anni ‘60 del ‘900 si estraeva anche la resina dei pini da usare come isolante per le barche. Sugli alberi più vecchi si notano ancora i tagli.
Come tutti i boschi, è pieno di ricordi. Uno me l’ha raccontato mia mamma, che all’epoca era una bambina ma ricorda la vicenda con estrema chiarezza. Era luglio del 1956 quando il bosco fu incendiato e rischiò di sparire. Centinaia di persone, da Linguaglossa e da numerosi paesi etnei, si mobilitarono per dare una mano. L’incendio fu spento ma si riuscì a salvare solo metà del bosco. Quasi 400 ettari andarono perduti. Mio nonno, che lavorava come carbonaio da quelle parti, diede una mano.
Un’altra storia l’ho scoperta da una guida vulcanologica che lavora sull’Etna insieme a mio fratello. Qui nidifica il cosiddetto pappagallino dell’Etna, che in realtà non è un pappagallo ma un passeriforme, precisamente una Loxia Curvirostra. Il suo becco però somiglia a quello di un pappagallo. Gli serve per aprire le pigne e sbafarsi i pinoli.
Oggi la pineta Ragabo è un bel bosco di pini larici, di tanto in tanto interrotto da vecchie colate laviche ormai fredde. Di qui passano numerosi sentieri per esplorare il vulcano, tra cui la Pista Altomontana che percorre (quasi) interamente la montagna ad anello ad una quota media di 1700 mt. È tra i sentieri dell’Etna che amo di più perché lungo un solo tragitto ti mostra i mille volti del vulcano.
Boschi nei libri
Il primo libro che mi è venuto in mente scrivendo di boschi è stato l’Hansel e Gretel di Lorenzo Mattotti pubblicato in Italia da Orecchio Acerbo con testo di Neil Gaiman. Ho scoperto l’anno scorso dalla voce dello stesso artista che le immagini hanno preceduto il testo e in effetti pure il libro stesso. Ho potuto vedere gli originali in mostra in quell’occasione e mi sono rimasti così impressi che se chiudo gli occhi rivedo ogni dettaglio di quella foresta. E se penso a una foresta, da allora, è quella che visualizzo per prima.
Per certe sfumature della luce, creata con il solo uso del bianco e del nero, mi ricorda una foresta reale ma molto fiabesca che si trova sui Nebrodi e amo molto, il bosco di Malabotta (ne avevo scritto qui, ci trovi anche altri libri sui boschi). Pensare agli alberi di un bosco mi ha fatto tornare in mente anche Il sussurro del mondo di Richard Powers, una romanzo che si ramifica come un albero e che non mi stanco di consigliare ogni volta che posso. I capitoli portano per titolo le parti di un albero.
Una bella passeggiata nel bosco (in poltrona) la regala Troverai più nei boschi di Francesco Boer. Appassionante anche il viaggio guidato da Suzette Simard, scienziata canadese che in L'Albero Madre svela la natura degli alberi come creature sociali.
Di libri con dentro boschi o sui boschi potremmo parlare per sempre, ma mi fermo con i racconti illustrati di Emily Carroll del volume Nei boschi. Contiene storie dalle ambientazioni gotiche che cascano proprio a fagiuolo questa settimana.
Ma che bellezza questa puntata tra gli alberi! Grazie Sara, grazie Andrea!
Ahhhh che bel respirone profondo e profumato mi arrivano dai vostri pini e da quei luoghi dai nomi fatati! Non sono più seduta su una sedia di plastica, ma sulla radice di un albero. Grazie per questo viaggio, che regalo grande.